27 GENNAIO 2024 – GIORNATA DELLA MEMORIA

RILEGGENDO PRIMO LEVI:  LA SHOAH, IL LAGER, LA VERGOGNA DEL MONDO

Il tramonto di Fossoli

Io so cosa vuol dire non tornare. / A traverso il filo spinato / Ho visto il sole scendere e morire; / Ho sentito lacerarmi la carne / Le parole del vecchio poeta: / “Possono i soli cadere e tornare: / A noi, quando la breve luce è spenta, / Una notte infinita è da dormire”.

7 febbraio 1946

Il superstite

Since then, at un uncertain hour, / Dopo di allora, ad ora incerta , / Quella pena ritorna, / E se non trova chi lo ascolti / Gli brucia in petto il cuore. / Rivede i visi dei suoi compagni / Lividi nella prima luce, / Grigi di polvere di cemento, / Indistinti per nebbia, / Tinti di morte nei sonni inquieti: / A notte menano le mascelle / Sotto la mora greve dei sogni / Masticando una rapa che non c’è. / “Indietro, via di qui, gente sommersa, / Andate. Non ho soppiantato nessuno, / Non ho usurpato il pane di nessuno, / Nessuno è morto in vece mia. Nessuno./ Ritornate alla vostra nebbia. / Non è colpa mia se vivo e respiro / E mangio e bevo e dormo e vesto panni.”

4 febbraio 1984

In queste due poesie tratte da Ad ora incerta (1984) Primo Levi, testimone esemplare della Shoah, esprime un duplice dramma: il dramma di chi, come lui, ha vissuto l’esperienza degradante del Lager e il tormento degli insopportabili sensi di colpa che funestarono il suo ritorno alla vita e alla libertà.

Levi poté salvarsi dalla morte nel campo di concentramento perché le sue competenze di chimico gli garantirono condizioni materiali migliori; scampato ad Auschwitz, non poté sopravvivere a se stesso, schiacciato dalla vergogna di un “privilegio” immeritato, e si uccise nel 1987 dopo aver affidato al libro I sommersi e i salvati  il suo  testamento spirituale.

La lucida analisi che si legge in queste pagine resta un caposaldo ineludibile per chi voglia celebrare la giornata della memoria evitando il rischio sempre incombente della retorica e  della semplificazione  manichea, di comodo, che contrappone  “buoni” e  “cattivi” nel teatro della storia.

Il Lager, ci insegna Levi, alberga in ognuno di noi. Persecutori e vittime furono allora, e potranno essere sempre, persone comuni, “banali”, né demoni né angeli, al di fuori di ogni eccezionalità. Uomini comuni con sentimenti comuni, senza altri aggettivi.  E’ questo che va, in primis, ricordato.

Perché “la memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace”, dice Levi. La insidia il tempo, la tendenza a sclerotizzare gli eventi in stereotipi e soprattutto a piegarli, nel ricordo,  a nostro vantaggio.  La insidia, anche, la rappresentazione che ci costruiamo degli attori che li vivono.

A questo proposito, nella prefazione al testo Tzvetan Todorov scrive: “Se ci identifichiamo con le vittime innocenti, questo ci dà il diritto di esigere riparazioni; se ci identifichiamo invece con eroi irreprensibili, questo ci permette di passare sotto silenzio i nostri misfatti. Basta cioè cambiare luogo, etichetta, circostanze, e non vediamo più nessun buon motivo per trarre dal passato lezioni che potrebbero applicarsi anche a noi”. E ancora, a dimostrazione di questo assunto: “I dirigenti israeliani non ignoravano niente, se ne può essere certi, delle persecuzioni subite dagli ebrei durante la guerra; ciò non ha impedito loro, in diversi momenti della storia recente, di perseguitare a loro volta i palestinesi che avevano il torto di trovarsi ancora su quella terra che aveva smesso di essere la loro”; con i nefasti effetti cui, purtroppo, ancora oggi drammaticamente assistiamo.

Levi ci mette in guardia da un’altra elaborazione del ricordo, più sottile ma non meno pericolosa: quella di chi assolve se stesso ponendo l’accento sulla pressione esercitata sull’ individuo dal regime totalitario, che ne annienta le possibilità decisionali con la propaganda, l’educazione, il terrore.

La sua lezione è dunque meno scontata di quanto apparentemente sembri: “E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo” implica la consapevolezza che tenere alta la guardia nelle distorsioni della memoria è importante quanto e forse più che ricordare – e celebrare – tout court.

Implica la consapevolezza che ci sono atteggiamenti “comuni” e “banali” che possono perderci e precipitarci di nuovo nelle tenebre della ragione, in particolari contingenze della storia. Questi atteggiamenti sono, chiarisce Walter Barberis nella Postfazione, il conformismo, l’acquiescenza deferente, zelante e acritica all’autorità, l’egoismo di gruppo, l’orgoglio identitario;  sono, scrive Levi, il radicalismo, la hybris; l’arroganza dogmatica, il bisogno di adulazione come quelli che connotavano l’ebreo Rumkowski, divenuto nel 1940 decano del ghetto di Lodz  – caduto poi  in disgrazia per queste stesse sue peculiarità e a sua volta deportato – ed emblema di quella “zona grigia” ove persecutori ed oppressi si sovrappongono in una singolare coincidenza;  sono, ancora, l’incredulità, la rimozione, la ricerca di rassicuranti verità consolatorie.

E ciò che non si deve mai dimenticare di provare è la “vergogna” nei confronti del dolore che l’uomo può infliggere all’uomo e che allora venne inflitto, osserva Levi,  non solo per raggiungere uno scopo, che per quanto moralmente abietto rappresenta pur sempre una motivazione “logica” e “razionale” – ovvero che la ragione può afferrare, certo non giustificare –  ma anche in modo totalmente gratuito e pertanto del tutto incomprensibile.  Una sofferenza disumanizzante e fine a se stessa era la norma dei Lager e non può, non deve, cessare di suscitare “la vergogna del mondo”:  quella vergogna che non prova solo chi preferisce non vedere, non ascoltare, non agire davanti all’orrore, come  fece  nei dodici anni hitleriani la maggior parte dei tedeschi, rimasti inerti  in una colpevole connivenza passiva.

Una vergogna, scrive Levi, che va coltivata come una difesa immunitaria, una sorta di vaccino che ci preservi dai possibili ritorni di Auschwitz nelle sue varie forme, che attivi la nostra pronta reazione dinanzi all’infittirsi di foschi segni premonitori o, peggio, di evidente infezione. Una vergogna vigile e consapevolmente memore, dunque: la sola che  possa difendere la nostra  fragile umanità, con i nostri “comuni” limiti,  da noi stessi.

Rosalaura Ballerini

BIBLIOGRAFIA TEMATICA

Ed ora qualche suggerimento di lettura e di approfondimento, selezionati tra i contributi più recenti e stimolanti:

Nell’ambito della saggistica, dialogano in qualche modo  a distanza con le riflessioni di Primo Levi, approfondendone le problematiche, i testi seguenti:

Milena Santerini, L’antisemitismo e le sue metamorfosi. Distorsione della Shoah, odio on line e complottismi,  Giuntina, 2023, una raccolta di saggi che analizzano le nuove forme di odio antiebraico, le nuove minimizzazioni e banalizzazioni, più lievi ma anche più pervasive, per effetto della diffusione dei social media, del negazionismo vero e proprio.

Bruno Maida-Alin Dobos, La Shoah. Smart history, Edizioni del Capricorno, 2024 offre, oltre a una ricostruzione storica rigorosa, un ricco apparato illustrativo di immagini e una riflessione conclusiva sulla responsabilità etica della memoria.

Andrea Pomplun (a cura di), Ancora oggi, parlare di Auschwitz? Riflessioni sul significato attuale della Shoah un’ottica interdisciplinare, Franco Angeli, 2022, ispirato dall’ incontro dell’autrice con Piero Terracina, uno dei sopravvissuti. Alla domanda del titolo cercano di rispondere, dal punto di vista della propria disciplina, religiosi, psicologi, psicoanalisti, giuristi, filosofi, storici, linguisti, giornalisti, componendo un mosaico di osservazioni variegato e composito, estremamente interessante per le interconnessioni che vi si aprono.

Alessandro Costazza, I perpretratori della Shoah nella letteratura, nel cinema e in altri media, Giuntina, 2022 pone il focus su come gli autori del genocidio sono stati rappresentati e sugli effetti di tali rappresentazioni sull’ immaginario collettivo.

Nella narrativa, tra invenzione e testimonianza, segnaliamo:

Judy Batalion, La luce dei giorni. Storia delle ragazze che combatterono Hitler, Mondadori, 2024 che racconta la storia di sette donne combattenti contro il nazismo in Polonia; la stessa autrice, nipote di sopravvissuti, in Figlie della Resistenza. La storia dimentica delle combattenti nei ghetti nazisti, Mondadori, 2023 ricostruisce attraverso una pluralità di fonti – diari, testimonianze, documenti d’archivio e saggi – le coraggiose azioni di resistenza  organizzate da alcune donne all’interno del ghetto di Varsavia nel 1943.

Lola Lafon, Quando ascolterai questa canzone, Einaudi, 2024, è il racconto di una notte trascorsa nell’alloggio segreto di Anna Frank, sulle tracce delle sensazioni, emozioni, riflessioni  di colei che abitò in quell’angusto spazio per ventiquattro mesi. L’autrice ricostruisce anche le vicende del Diario dal 1947 ad oggi, tra interpretazioni arbitrarie e  distorsioni negli adattamenti e dà spazio e voce  ai ricordi di membri della sua famiglia nati nell’Europa dell’Est ed essi stessi emigrati, perseguitati, sopravvissuti.

Gahelle Nohant, L’archivio dei destini neri, Pozza, 2024: a una donna che lavora in un centro di documentazione tedesco, dove si conducono indagini sul destino delle vittime del regime nazista, viene affidato il compito di restituire migliaia di oggetti rinvenuti nei campi di concentramento alle famiglie dei proprietari originari, dando vita ad una dolente recherche.

Elvira Hempel Manthey in La piccola Hempel. La testimonianza unica di una bambina scampata alla ferocia dell’eugenetica nazista, Utet, 2024 racconta la sua storia di bambina tedesca, non ebrea, diagnosticata come “mentalmente inferiore” perché figlia di un uomo a sua volta bollato come “asociale”, che viene fortunosamente risparmiata alla terribile fine riservata a tutti gli altri bambini internati nel manicomio di Uchtspringe.

Sempre attraverso lo sguardo straniante di piccoli protagonisti,  Rosa Ventrella narra in  I bambini di Haretz, Mondadori, 2022  la vicenda reale, poco conosciuta, di un gruppo di bambini ebrei nel loro avventuroso e drammatico viaggio in fuga attraverso l’Europa in guerra.

Simone Veil, Solo la speranza lenisce il dolore, Il Corbaccio, 2024 è un libro che nasce dal video racconto che Weil fece nel 2006 per la Fondation pour la memoire del la Shoah e l’ INA – Institut National de l’audiovisuel e contiene uno scritto di Liliana Segre. La speranza del titolo è che la Shoah non venga mai dimenticata.

Nella poesia  due autori di grande tensione espressiva sono Nelly Sachs e Charles Reznikoff:

Nelly Sachs fu Premio Nobel nel 1966 “per la sua lirica notevole e la scrittura drammatica, che interpreta il destino di israele con forza toccante”. Ebrea, sfuggì all’Olocausto riuscendo a rifugiarsi in Svezia ma ne fu comunque per sempre segnata, accusando disturbi psichiatrici. Una scelta delle sue liriche è tradotta in Italia in  Poesie, Einaudi (2006); alla Shoah dedicò le raccolte Nelle dimore della morte (1947) e Le stelle si oscurano (1959); intrattenne anche una fitta corrispondenza con Paul Celan, altro grande poeta dell’ Olocausto (Corrispondenza, Giuntina 2018).

Charles Reznikoff in Olocausto, Benway Series, 1975 riprende in maniera diretta e senza alcun intervento autorale, ritenendo impossibile aggiungere o modificare alcunché rispetto alla cruda verità dei fatti, le testimonianze delle vittime e dei carnefici così come riportate negli atti del processo di Norimberga del 1945-46 e di quello ad Eichmann del 1961, che si limita a cucire  assieme in un cupo poema di dodici capitoli. Il libro, nell’unica edizione italiana – qui indicata – è reperibile attraverso il sito https://benwayseries.wordpress.com dove è presente un’anteprima.

Ricordiamo, infine, i materiali consultabili sul sito della Rai:

https://www.raicultura.it/webdoc/shoah-il-giorno-della-memoria/index.html#welcome