LO SCAFFALE DEL LETTORE: Wole Soyinka, Cronache dalla terra dei più felici al mondo, Milano, La nave di Teseo, 2023

Premio Nobel per la letteratura nel 1986, lo scrittore nigeriano Wole Soyinka in questo nuovo romanzo traccia un ritratto impietoso e senza filtri del suo Paese, dilaniato dal terrorismo e depredato da politici senza scrupoli e affaristi di ogni genere.

Si tratta di un racconto potente e drammatico, costruito come un giallo:  il lettore è condotto, indizio dopo indizio,  a condividere un’inchiesta dai contorni inquietanti che restituisce    un’immagine desolante della corruzione e della sete di potere e denaro dominanti ai vertici, e non solo, di una società senza più valori né umanità.

Una società tanto avvezza alla brutalità e agli orrori della violenza che dilaga ogni giorno nelle strade da essere diventata del tutto indifferente ad essi,  ma che il governo dipinge ipocritamente, all’ interno e all’ esterno dei suoi confini, come “la terra dei più felici al mondo”. Un prolifico e ingegnoso Ministero per la Felicità  si prodiga a manipolare e a narcotizzare ogni residuo di pensiero critico e indipendente dei suoi cittadini mediante ininterrotte celebrazioni politiche e culturali dai nomi fantasiosi e trasparenti,  nelle quali si assegnano premi altrettanto fantasiosi e trasparenti:  il Festival del Favore del Popolo, il Premio Servitori dell’ Anno, il Premio Servitori dell’Anno per la Sensibilità – altrimenti detto, con acrostico (in)volontariamente rivelatore PASS: si tratta, infatti, di un premio  particolarmente ambito in quanto assicura al suo vincitore il patteggiamento per la riduzione della pena  in caso di incriminazione.

In questa cornice si colloca, in un intreccio complesso e dai risvolti tragici, l’ azione di cinque personaggi: Sir Godfrey Danfere, primo ministro del partito al governo Popolo in Movimento, che si fregia del titolo, frutto di un’ abile costruzione mediatica,  di Custode del Popolo e che briga per essere riconfermato alle imminenti prossime elezioni; e quattro amici che all’epoca degli studi universitari all’estero hanno stretto un patto reciproco e suggellato con esso una scommessa su chi tra loro, rientrato in patria, sarebbe divenuto “il marchio più importante della nazione”.

I quattro amici hanno estrazioni sociali diverse, diversi temperamenti e diverse abilità, tutte molto spiccate.  Alcuni sono eredi dei ricchi coloni bianchi, come l’ ingegnere Duyole Pitan-Payne, altri sono espressione dei nativi neri svantaggiati cui gli studi permettono di elevarsi, come il dottor Khigare Menka, originario di un villaggio poverissimo, Gumchi,  dove sogna di tornare per realizzarvi  un giorno, con l’aiuto dei suoi amici,  un moderno ospedale all’avanguardia in ogni suo settore.

Quattro amici che prenderanno, però, strade diverse, nell’ inevitabile passaggio dall ‘idealismo giovanile al realismo della età matura, con i suoi disincanti e le sue disillusioni. Resiste quale legame privilegiato l’ amicizia tra l’ ingegnere e il medico, che diventano rispettivamente la vittima di un brutale omicidio e la mente investigativa che ne ricostruisce, con paziente cocciutaggine, il movente e la dinamica, in un atto estremo di fedeltà all’ amico e alla verità, tanto dolorosa quanto emblematica di un mondo dominato dall’ossessione per il potere e dall’inganno come strumento individuale e collettivo di sopraffazione elevato  a sistema.

Un mondo in cui la superstizione si sposa con la corruzione e con la logica cinica degli affari, in cui l’uomo è mercificato, letteralmente, in ogni sua parte,  anche da morto;  un giallo cupo che rappresenta non solo la capacità di rendere, da parte di chi la conosce bene e ne è stato vittima in prima persona, l’ anima corrotta di una nazione (Soyinka è stato incarcerato, condannato a morte e costretto all’ esilio per la sua opposizione alla tirannia militare di Sani Abacha)  ma anche il morbo degenere, quasi un vizio assoluto, che dilaga nel villaggio globale  di un mondo opaco e ”svilito”, trasformato in un’ “orribile palude” senza speranza di riscatto.

Dopo un quadro d’ insieme che funge da cornice e scenario, il romanzo è costruito a blocchi sui personaggi che lo animano, con un respiro quasi teatrale: capitolo dopo capitolo il lettore è costretto a tenere alta la guardia per  rintracciare e annodare i diversi fili della trama fino a scoprire il disegno finale che restituisce a ciascuno il suo ruolo. Disegno che si ricompone, non a caso,  a “Villa Potencia”, nel cuore pulsante della macchina del potere, che si appresta ad imbastire il suo ennesimo “spettacolo” come in un film di Broadway.

Un finale che lascia l’ amaro in bocca, ma temperato da un pizzico di indotto  ottimismo della volontà: quello che riconosce alla creatività libera e  indipendente, rappresentata dall’ inesauribile energia vitale dell’ ingegner Duyole Pitan-Payne, e all’ insopprimibile bisogno di curare le ferite di una umanità oltraggiata, che alimenta la sagacia investigativa del dottor Kighare Menka, la capacità di uno svelamento  coraggioso, al di là di ogni mistificazione:  il primo, ineludibile passo verso una (possibile?) rigenerazione di una società accecata, in cui  ogni barlume di coscienza è ridotto a brandelli.

Sullo sfondo, il villaggio di Gumchi, allegoria dell’ eterna contesa tra le seduzioni dell’ oro e la cruda essenzialità dei bisogni vitali di un popolo piegato dalla povertà. Una scommessa per alcuni, da vincere ad ogni costo; un impegno per la coscienza, da assolvere ad ogni costo, di altri. Scegliere con chi stare è la sfida bruciante che Soyinka lancia al lettore.